13.4.14

Ragnarök, A.S. Byatt

RagnarökRagnarök di A.S. Byatt
2 di 5 ★








Nel 2005 la Canongate Books pubblica i primi tre libri della sua Myth Series, dando inizio ad un progetto che negli anni ha portato molti scrittori a reimmaginare i miti di diverse culture. Accettando la sfida, la scelta della Byatt è immediatamente caduta sui miti norreni, che hanno segnato la sua infanzia attraverso il libro Asgard and the Gods; the tales and traditions of our Northern ancestors di Johann Wilhelm Ernst Wägner (che non va confuso col più famoso Richard).

Difficile comprendere appieno l’approccio dell’autrice all’opera: una riscrittura, un riassunto, un’allegoria? C’è un po’ di tutto questo in Ragnarök, segno forse di un’indecisione creativa o della necessità di un tempo di elaborazione e progettazione maggiore. L’idea della scrittrice, come esposto chiaramente nelle sue riflessioni finali, era di trovare una voce non profetica o ammonitoria e tenersi distante dall’allegoria esplicita, per conservare il valore originale della forma-mito. Voleva suggerire forse ciò che la sua mente di bambina coglieva appena: l’effetto doppio di quello specifico mito sulla sua vita e del Mito tout court sull’umanità. Se Karen Armstrong (citata dall’autrice) scrive che “i miti sono modi di rendere le cose comprensibili e significative in termini umani” a maggior ragione sono stati importanti per la comprensione del mondo da parte della bambina magra. E in questa duplicità si configura l’idea del libro nella mente della scrittrice, che rinuncia a modernizzare l’impianto mitico (come invece hanno fatto altri autori della Myth Series) per presentarlo nella sua originale forza generatrice che modella insieme individuo e società semplicemente offrendone un’interpretazione lineare, storica (con la s minuscola). L’introduzione della figura della bambina è quindi qualcosa di più del semplice elemento autobiografico ed è per questo ancora più difficile capire come la Byatt abbia potuto dedicarle così poco spazio, relegandola di fatto ad una debole cornice di un esperimento letterario.

All’interno di tale cornice vi è il fulcro del romanzo, il racconto del mito “nei suoi propri termini, come l’aveva scoperto la bambina magra”: con la sua peculiare incostanza, la sua incoerenza (caratteristiche che non giovano molto alla lettura) la sua potenza immaginifica e, ovviamente, la sua linearità che da un inizio porta ad una fine. Il mito è radicato nella “morte e nella paura di estinzione” (citando ancora Karen Armstrong), ma in quanto finale anticipato di una storia, il crepuscolo della vita è anche qualcosa di rassicurante perché dà ordine alle cose senza senso del mondo reale. È forse per questa sensazione che noi uomini come gli dei norreni sembriamo immuni al terrore della morte preannunciata. Lentamente procediamo verso la fine e nel frattempo guardiamo anche la fine del mondo, distrutto dalla nostra stessa avidità e miopia. Come la serpentessa di Midgard avveleniamo la terra perché ciò fa parte della nostra natura.
In questo senso allegorico acquisiscono valore le lunghe descrizioni e il gusto per gli elenchi floreali, che ci mostrano la bellezza di un mondo mitico e il suo progressivo disfacimento. E in parallelo la bellezza delle campagne piene di piante e fiori dove corre la bambina e la loro lenta sparizione. In queste parti l’autrice mostra tutta la sua maestria, purtroppo menomata dalla traduzione in un’altra lingua. A questo proposito è bene notare come l’originale sia impreziosito da una certa raffinatezza nella costruzione delle frasi e nella scelta delle parole, con frequenti allitterazioni e la ricerca di una musicalità in accordo con quanto, di volta in volta, viene descritto:
“Odin dealt death at a distance to those whose displeased him.”
“A chi lo contrariava, Odino dispensava morte da lontano.” (p.86)
“Things swayed, and slid, and sailed through the sea-forest, hunting and hunted.”
“Le cose ondeggiavano, e scivolavano, e navigavano attraverso la foresta marina, cacciatrici e cacciate.” (p.23)

Collegamenti

- Leggi Online Asgard and the Gods

- Recensione su The Guardian


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