Su SkyArte tra le tante,
interessanti, proposte ce ne sono due riguardanti la fotografia.
Fotografi, una serie che affronta in ogni puntata un artista
differente e
Photo - L’arte della fotografia,
che approfondisce la materia con un po’ di storia e soprattutto
tanti esempi. In quest’ultimo le argomentazioni sono rese più
interessanti grazie all’uso di qualche trucco grafico per
cancellare elementi dell’immagine presa in esame e sviscerarne i
segreti della composizione. Ho deciso quindi di dedicare un post
(forse seguito da altri) alle cose più interessanti, ricordandovi
anche della mia collezione di foto su
tumblr.
Quando si parla di
fotografia digitale non manca mai l’opinione sprezzante di chi ne
condanna l’immediatezza e la manipolazione. È onesto ammettere la
difficoltà maggiore che si incontrava con l’analogico e la
conseguente abilità dei vecchi maestri: veri artigiani del processo
di post produzione e stampa in opposizione alla facilità dello
scatto moderno trapiantato negli smartphone. Per quanto riguarda
l’immediatezza c’è poco da obiettare se non che gli errori (di
messa a fuoco, grana troppo evidente, deformazioni grandangolari,
composizione non corretta e così via) sono molto più penalizzanti
di un tempo. È però sbagliato credere che il ritocco dell’immagine
sia qualcosa di avulso dalla realtà della pellicola. Ma procediamo
con ordine.
Nel 1839
William Henry Fox
Talbot presenta i suoi
disegni fotogenici o
sciadografie (dal greco
skià e
gràphein che significa letteralmente “disegnare l’ombra” in opposizione
al successivo fotografia, “disegnare con la luce”).
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Sciadografia di Talbot |
L’oggetto da ritrarre veniva messo a contatto con una superficie
sensibile (inizialmente un foglio di carta immerso in soluzione di
sale da cucina e nitrato d’argento) ed esposto al sole. Se ne
ricavava così un’immagine in negativo dell’oggetto: quasi
un’ombra, un’impronta di quella presenza reale. Come un fantasma,
però, era destinata a scomparire col tempo in quanto la reazione
alla luce continuava, cancellando infine quella traccia. Solo grazie
a
ll’iposolfito
di sodio il cui utilizzo fu suggerito da
John
F. W. Herschel
si riuscì a fissare quelle immagini fermando l’azione della luce.
Negli stessi anni Louis
Daguerre
aveva creato i suoi primi dagherrotipi con l’aiuto di Joseph
Nicéphore Niépce (a
cui si deve la prima
“fotografia”).
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Daguerre, Boulevard du Temple. La prima foto in cui compare in maniera chiara un essere umano (in basso a sinistra) |
Questi
primi esperimenti avevano in comune la creazione di un’immagine non
riproducibile: da un punto di vista di impatto sociale più vicina
alla pittura che alla fotografia moderna. Il passo in avanti decisivo
si ha con l’invenzione del calotipo
da parte di Talbot, che rielaborò la sua precedente tecnica dando
vita al negativo e permettendo così la riproducibilità
dell’immagine catturata.
La
possibilità di reiterare a piacimento la forma artistica segna forse
il punto di maggiore distacco dalla pittura in un contesto in cui
invece i due mondi figurativi vivono di continui scambi, non
necessariamente unilaterali (pensiamo ad esempio agli iperrealisti in
cui il dipinto sembra cercare la somiglianza con la fotografia più
che con la realtà). La strada intrapresa dal fotografo può essere
quella della descrizione fedele dell’oggetto rappresentato,
dell’introduzione dell’elemento fantastico o ancora del racconto.
In ogni caso la manipolazione dell’immagine è un elemento
importante nel flusso di lavoro dell’artista ben prima dell’era
digitale, spesso resa necessaria dai limiti degli apparecchi
utilizzati. A questo proposito è interessante osservare il chiostro
di St. Trophime fotografato da Édouard
Baldus.
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Baldus, Chiostro di St. Trophime
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Baldus interviene col solo intento di approssimare quanto più
possibile il risultato fotografico a ciò che aveva davanti al
momento dello scatto. Non potendo altrimenti raggiungere la
composizione, la profondità di fuoco e l’illuminazione desiderata,
decide di unire dieci negativi tra loro (quindi più scatti) e
dipingere parte del soffitto, ottenendo così un risultato
più coerente con la realtà. Si spinge oltre, sia nella tecnica che
nell’ausilio delle conoscenze pittoriche, Oscar
Gustave Rejlander
che per realizzare il suo The Two Ways of Life
unisce una trentina di negativi, preparando con grande maestria i
diversi scatti (bisogna pensare alla difficoltà di mantenere le
proporzioni tra i diversi personaggi) e utilizzando fondali dipinti.
Certamente una sfida o un atto d’amore verso le grandi opere del
Rinascimento.
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Rejlander, The Two Ways of Life |
Uno dei maestri di questa tecnica, detta stampa
combinata, fu Gustave
Le Gray
di cui ricordiamo in particolare The
Great Wave
in cui la porzione di cielo nuvoloso fa parte di un negativo
differente da quello della costa e del mare (forse uno scatto
realizzato in tempi e luoghi differenti): solo in questo modo era
possibile ottenere la giusta esposizione dei diversi elementi.
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Le Gray, The Great Wave |
Le
Gray fu anche uno dei capostipiti del Pittorialismo, un movimento
della fine del XIX secolo, nato con lo scopo di dare alla fotografia
il giusto riconoscimento e portarla al livello della pittura e della
scultura. In un tempo in cui la fotografia veniva mal considerata per
il suo essere frutto di una semplice azione meccanica di uno
strumento, Le Gray pose l’accento sulla manualità e l’intervento
dell’artista grazie all’utilizzo della stampa combinata e alla
ricerca di atmosfere e suggestioni originali.
Una
visione totalmente opposta a chi al giorno d’oggi accusa
l’intervento in post produzione di togliere valore all’arte
fotografica. Una cosa è certa, tra la fotografia e la pittura c’è
sempre stato un confine piuttosto sfumato, segnato da reciproche
influenze, e attualmente in questa zona liminale sembrano convivere
la fotografia e l’arte grafica.
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