10.4.12

Il grande Gatsby


Attenzione la citazione e il commento che seguono contengono anticipazioni sulla trama
Parlò molto del passato, e ne dedussi che cercava di ritrovare qualcosa, forse un concetto di se stesso che era scomparso nell’amore per Daisy. Da allora la sua vita era stata confusa e disordinata; ma se poteva ritornare a un certo punto di partenza e ricominciare lentamente tutto da capo, sarebbe riuscito a scoprire qual era la cosa che cercava…
…una notte d’autunno, cinque anni prima, avevano passeggiato lungo una strada. Cadevano le foglie. Erano giunti a un luogo dove non c’erano alberi e il marciapiede era bianco sotto il chiaro di luna. Qui si erano fermati, e si erano voltati l’uno verso l’altra. Era una notte fresca; c’era quell’esaltazione misteriosa che viene durante i due cambiamenti di stagione dell’anno. Le luci tranquille delle case ronzavano nell’oscurità; c’era un fruscio e un bisbiglio tra le stelle. Con la coda dell’occhio, Gatsby vedeva che gli edifici sui marciapiedi costituivano una vera e propria scala e salivano a un luogo segreto al disopra degli alberi; poteva arrampicarvisi e, se lo faceva da solo, una volta in cima avrebbe potuto succhiare la linfa della vita, trangugiare il latte incomparabile della meraviglia.
Il cuore gli batteva sempre più in fretta mentre il viso bianco di Daisy si accostava al suo. Sapeva che baciando quella ragazza, incatenando per sempre le proprie visioni inesprimibili all’alito perituro di lei, la sua mente non avrebbe più spaziato come la mente di Dio. Così aspettò, ascoltando ancora un momento il diapason battuto su una stella. Poi la baciò. Sotto il tocco delle sue labbra Daisy sbocciò per lui come un fiore, e l’incarnazione fu completa.
In tutto quello che mi disse, perfino nel suo sentimentalismo
impressionante, ritrovai qualcosa: un ritmo sfuggente, un frammento di parole perdute, che avevo udito da qualche parte molto tempo prima. Per un momento una frase cercò di prender forma nella mia bocca, e le labbra si schiusero come quelle di un muto, come se non fossero trattenute soltanto da un filo di aria stupita. Ma non diedero suono, e ciò che avevo quasi ritrovato divenne inesprimibile per sempre.
Concentrarsi su una singola interpretazione de Il grande Gatsby sarebbe fuorviante, eppure l’immagine di questo strambo riccone è spesso rinchiusa in un alone non troppo mistico definito dallo sperpero dei festeggiamenti parossistici. Niente di più lontano, di più superficiale come ben sa chi ha letto il libro e non si è fermato alla notizia della sua fama. Lo stesso appellativo associato a Gatsby nel titolo, cade in una sorta di ambiguità. Grande. Il grande Gatsby. È un termine descrittivo, che si riferisce alle sue ricchezze e alle gesta da self-made man che lo portarono ad ottenerle o piuttosto siamo nel campo dell’ironia che vuole presentarci un uomo alla ricerca di una grandezza che dalle affollate feste lo porterà a morire quasi solo? Ancora, forse, possiamo trovare il significato di quell’aggettivo nelle dimensioni epiche dei sogni di un piccolo uomo e dei suoi sforzi per realizzarli o nell’immensità dell’amore provato che rende vani tali sforzi? The Great Gatsby (e scelgo qui l’inglese che mi impone il maiuscolo della prima G) è questo e tanto altro, un romanzo stratificato reso omogeneo da una scrittura limpida, critica, intelligente, perspicace.
Questa pluralità di temi, ad ogni modo, non ci impedisce di riconoscere un tema portante che riconduce facilmente alla vita e alle tribolazioni dell’autore: la fallibilità del mito americano e il rapporto con il successo e la nobiltà. Il desiderio di coronare l’amore per Daisy, diviene così la ricerca fallita, irrealizzabile, di innalzarsi al di sopra delle proprie umili origini, di compiere il sogno americano che mostra il suo vero volto crudele di traditore. Un sogno circondato di ceneri e di falsi dei («Dio vede tutto» ripeté Wilson. «È un cartellone pubblicitario» lo rassicurò Michaelis.) come quelli che si svelano agli occhi adulti («Ho trent’anni» dissi. «Ho cinque anni di troppo per mentire a me stesso e chiamarlo onore.») del protagonista che si rende conto di come quella che ha vissuto non è stata altro che una storia del West, e ci fa capire come quella che abbiamo letto non è solo la storia del grande Gatsby.

P.s.
QUI potete  trovare un simpatico giochino in stile NES sul romanzo.

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