14.12.07

I Barbari. Saggio sulla mutazione

Immagine di I barbari
Finito! Per leggere i commenti su aNobii cliccate sull'immagine, oppure entrate nella mia libreria dal riquadro "Sul comodino" nella barra laterale. Ad aNobii ho affidato il mio commento, qui vorrei fare qualche riflessione più approfondita... Seguitemi e vediamo cosa ne esce fuori.

Visto che La Repubblica ci offre in digitale le pagine del libro di Baricco, ne approfitterò abbondantemente per le citazioni, cominciamo da pagina 92. Siamo entrati nel cuore della narrazione, nei villaggi dei barbari; sono già lontane le mura della civiltà e, anzi, se proprio ci sono delle mura, sono quelle della roccaforte Google. Ho trovato davvero interessante questa parte sulla nascita ed il funzionamento del più famoso motore di ricerca, non ne sapevo niente, o quasi.

Ecco: quel che c'è da imparare, da Google, è quel nome. Io non saprei trovarlo, ma credo di intuire la mossa che nomina. Una certa rivoluzione copernicana del sapere, per cui il valore di un'idea, di un'informazione, di un dato, è legata non principalmente alle sue caratteristiche intrinseche ma alla sua storia. E' come se dei cervelli avessero iniziato a pensare in altro modo: per essi un'idea non è un oggetto circoscritto, ma una traiettoria, una sequenza di passaggi, una composizione di materiali diversi. E' come se il Senso, che per secoli è stato legato un'ideale di permanenza, solida e compiuta, si fosse andato a cercare un habitat diverso, sciogliendosi in una forma che è piuttosto movimento, struttura lunga, viaggio. Chiedersi cos'è una cosa, significa chiedersi che strada ha fatto fuori da se stessa.


Guardando alla semiotica il Senso, in effetti, è sempre stato qualcosa di non chiuso sull'oggetto a cui appartiene, bensì aperto e costruito dal vicendevole limitarsi di tutti gli altri Sensi. Senso e Significato e le parole che li esprimono non sono etichette incollate a porzioni di esperienza, ma sono come l'acqua del mare: il cavallone viene dall'onda, l'onda dall'increspatura, questa dall'acqua calma, l'acqua dalle gocce: il Senso è nel mare non nell'onda o nel cavallone, ma fra di essi viaggia tra confini sfumati, liquidi.
Così, ritornando a Baricco, il Senso che prima veniva fondamentalmente dall'origine, dal capostipite, dalla purezza dell'originale ed era quindi conchiuso nella solidità di tale riferimento; adesso spazia orizzontalmente nel mare del web, dei collegamenti, del viaggio e il Senso tende a stare sempre più al di fuori dell'esperienza a cui si riferisce. Come gli hamburger, ci dice Baricco, che esistono di tanti tipi, ma che in effetti si differenziano non per la carne (la "polpetta") quanto per tutto ciò che l'accompagna (salse e condimenti vari).

Eppure io, se non rinnego la logica di queste nuove (o più accentuate) dinamiche, allo stesso tempo vorrei che non ci portassero così lontani dalla ricerca in profondità del Senso, dal viaggio verso il basso e la risalita. Invece è la navigazione, il surfing orizzontale, che caratterizza la barbarie. E vorrei che la Fatica rimanesse quello che era per monsieur Bertin.

Nel paesaggio di monsieur Bertin c'era una categoria che la faceva da padrona: la fatica. Lo dico nel modo più semplice: l'accesso al senso profondo delle cose prevedeva una fatica: tempo, erudizione, pazienza, applicazione, volontà. Si trattava, letteralmente, di andare in profondità, scavando la superficie petrosa del mondo. Nella penombra profumata dei propri studioli, la borghesia proprietaria replicava, senza sporcarsi le mani, quello che ai suoi tempi era il lavoro faticoso per eccellenza: quello del minatore. Scusate se uso ancora la musica classica, ma aiuta a capire: pensate come, in quella musica, il fatto che essa sia, in qualche modo, difficile è la prova che essa conduce in qualche posto nobile, elevato. Vi ricordate la Nona, vero confine di ingresso alla civiltà di monsieur Bertin? Beh, quando la ascoltarono, i critici, per la prima volta, dico la prima, inziarono a dire che forse, per capirla bene, si sarebbe dovuto risentirla. Adesso ci sembra normale, ma per i tempi era una bizzarria assoluta. A un ascoltatore di Vivaldi l'idea di risentire le Quattro Stagioni per capirle doveva sembrare come la pretesa di rivedere dei fuochi d'artificio per capire se erano stati belli. Ma la Nona pretendeva questo: il gesto della mente che ritorna sul suo oggetto di studio e fatica, e accumula nozioni, e scende in profondità, e alla fine comprende. Ancora l'altro ieri, i nostri nonni faticavano dietro a Wagner, tornando ad ascoltarlo per innumerevoli volte, fino a quando non riuscivano a stare svegli fino alla fine, e a capire: e quindi, finalmente, a godere. Bisogna comprendere che questo genere di tour de force piaceva a monsieur Bertin[...]


Nella penombra profumata dei propri studioli, la borghesia proprietaria replicava, senza sporcarsi le mani, quello che ai suoi tempi era il lavoro faticoso per eccellenza: quello del minatore.


Sono un surfer (ma non credo di fare multitasking), eppure vorrei non esserlo, vorrei essere maggiormente uno che va a fondo, capace di impegno. Soprattutto, credo che questo viaggiare in superficie, solo in superficie faccia male, ci sono cose, le nostre passioni, ciò che più ci interessa, che meritano appofondimento in cui dobbiamo applicarci per formare il nostro caratetre e dar vita alla nostra storia. Il solo viaggiare in profondità può fare male al cervello. Ed io mi sento ferito.
Per alcune cose, almeno, bisognerebbe coltivare il senso romantico dell'anima.

Così, mentre scambi la stanchezza per qualche forma di ascesi meditativa, il mondo effettivamente si spegne nel disegno della Muraglia, e la Muraglia si spegne nei tuoi passi, e i tuoi passi si spengono nelle mosse della tua mente, e alla fine resta il nocciolo duro di un pensiero, in questa aria tersa della mente che ho fatto migliaia di chilometri per raggiungere. Monsieur Bertin, penso. La cara vecchia tecnica di monsieur Bertin. Pazienza, fatica, silenzio, tempo, e profondità. Per ricompensa: il pensiero. La prossimità al senso delle cose.
Così mi fermo, e per un attimo ho l'assoluta e errata certezza della superiorità indiscutibile del modello di monsieur Bertin. L'unico modo possibile di pensare, penso. Altro che i barbari. Naturalmente so che non è vero, ma quassù non c'è nessuno a controllare, e non se ne accorgerà nessuno se, per un attimo, baro.


Per concludere, ci tengo a fare altre due citazioni.
La prima è una frase che mi è piaciuta.

Una volta ho letto questa frase: "Per chi si arrampica sulla facciata di un palazzo, non c'è ornamento che non appaia utilissimo". Forse era Kraus, ma non ci giurerei.


La seconda spiega bene quel che penso anche io, della politica, oggi.

Questa sensazione che la democrazia sia ormai una tecnica che gira a vuoto, celebrando un unico valore davvero riconoscibile, cioè se stessa. Non so se sia una mia perversione, o un sentire comune a molti. Ma certo si ha così spesso il dubbio che perfino i principi di libertà, uguaglianza, solidarietà che fondarono l'idea della democrazia siano per così dire scivolati sullo sfondo, e che l'unico valore effettivo della democrazia sia la democrazia. Quando si limitano le libertà individuali in nome della sicurezza. Quando si ammorbidiscono i principi morali per esportare, con la guerra, la democrazia. Quando si accorpa la complessità del sentire politico nella opposizione di due poli che, in realtà, si contendono una pugno di indecisi collocati in mezzo. Non è il trionfo della tecnica sui principi? E non assomiglia sorprendentemente allo stesso possibile delirio barbaro, che rischia di santificare una semplice tecnica, rendendola una divinità appoggiata su un vuoto di contenuti? Guardate negli occhi democrazia e barbarie: ci vedrete la stessa inclinazione a diventare meccanismi perfetti che scattano a ripetizione senza produrre null'altro che se stessi. Orologi che funzionano perfettamente, ma che non spostano nessuna lancetta.


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